lunedì 7 dicembre 2009

RECENSIONE del Prof. Domenico Guerra

Michele Stuppiello, Guardiano del tempo.

In un clima come quello del nostro tempo, tutto pervaso da studi scientifici e tecnologici, la poesia di Michele Stuppiello invita il lettore a concedersi, pur nella vita irrequieta e frenetica della nostra società, una pausa, che può sembrare un vuoto ma che vuoto non è se ci permette di raccogliere le idee e soffermarci a guardare dentro e fuori di noi con uno sguardo più acuto e profondo. Una delle caratteristiche di questa poesia è che nasce in uno spazio privato di pensieri, impressioni, sensazioni, da cui il poeta vuole osservare il mondo, e nello stesso tempo parlare di sé, della sua vita, delle sue esperienze, farsi l'autoanalisi. Poesia come linguaggio dei sentimenti, delle emozioni, delle fantasie; ma, in ogni caso, legata alla realtà, intesa come il mondo dell'autore e il suo rapporto con esso.
Con il verso breve, la scansione quasi sillabata, Stuppiello crea a volte atmosfere di silenzio interiore, altre volte apre paesaggi cosmici nei quali giunge la sua umana inquietudine.
Guardiano del tempo è una silloge poetica in cui l'autore guarda il mondo da un suo osservatorio segreto, posto in alto, da dove può cogliere lo scenario della vita umana, e proiettare la propria vicenda in quello scenario. Si paragona a un picchio nel suo buco, a un Budda che danza ubriaco. Quando avvicina Budda e Dioniso il poeta vuole annullare le distanze tra due mondi lontani e affermare l'universalità della condizione umana in cui ognuno consuma la propria esperienza, vive il proprio stato d'animo.
Appartato in una volontaria solitudine, il poeta non ha pace nell'eremo dei suoi pensieri, dove si è ritirato come il picchio nel buco dell'albero. Ma la vita con le sue esperienze prevedibili o imprevedibili lo coinvolge, e lui ne cerca il senso mentre ne avverte la pena. Si dibatte tra desiderio di elevazione e discesa nel buio, nel vuoto. In questo contrasto lottare con Dio è già una scelta, un approdo alla salvezza (Ho nostalgia). Il poeta avverte il passare del tempo; ma esso sarebbe vuoto, anonimo, se non fosse identificato in qualche figura mitologica: perciò la notte è il tempo di Ecate, e le tenebre si animano del suo canto, un canto dionisiaco; ritorna l'amore a restituire un senso alla vita, ai sentimenti, e tutto torna a scorrere come sempre; e l'ululato del lupo alla luna ristabilisce il normale ritmo della vita (Il tempo di Ecate).
Ma in Letto a una piazza di nuovo il senso del vuoto, che annulla la vita, invade l'animo del poeta; e l'amore è illusione, e quotidiano è il conflitto tra essere e non essere, verità e illusione. "Nulla ha un senso": anche la stella luminosa che splende eterna nel cielo, è già consumata dalla sua stessa luce; anch'essa ha una sua vita fugace: appare luminosa e scompare nell'ingorgo del nulla. Così appare al poeta la sua breve esperienza d'amore. Dunque è il tempo, il suo misterioso flusso che assilla la mente del poeta. Al tempo Stuppiello attribuisce quasi una sacralità, che è al di fuori della storia: questa è Donjon, immobile sull'altura nebbiosa; la nebbia è metafora del mistero che circonda la storia dell'uomo. In punta di piedi il poeta entra nel regno del sogno: è una scelta che egli compie tra il nulla, il non-senso della vita e la Comunione con l'universo di cui può godere nel silenzio; in questo silenzio la donna è figura celeste estatica e rivelatrice di una superiore verità (Il regno del sogno). Il senso del mistero di questa vita si riassume nella metafora del gambero che si dimena in un microcosmo ermetico. Il vento del tempo cancella i ricordi della vita, che si dissolve in un Eldorado illusorio e malsicuro (Approdino ad altri lidi). Un vero intermezzo di pace in questo scenario costituiscono oggetti e simboli, vicende del passato, fantasmi della storia (Visione).
Di fronte a questa realtà che oscilla tra il visibile e l'invisibile, tra il sogno e il vuoto, il poeta è un "gestante paziente", elaboratore di concetti con la sua mente-utero. Il suo parto è sempre sofferto, perché la parola è creatura piena di vita; e la vita è una sfida della luce contro le tenebre. Così il poeta è di nuovo coinvolto nel gioco dell'essere, dell'illusione, delle presenze, del reinventare la propria storia umana, idolatra del nulla.
Questa sua lotta tra verità e illusione, tra verità ed errore il poeta la intuisce anche nelle remote plaghe del cielo, che evocano presenze di universi remoti (Universi remoti). Ma dalle plaghe dell'universo egli cade per una forza di gravità del pensiero nel buco della storia umana, anche in quella a lui più vicina (Chianca amara); e lo richiama la voce antica dell’Adriatico, remedii pelagus, teatro di tanta storia: è il ritorno al dialogo con la vita e con la storia (Adriatico). Allora il poeta si apre all'ascolto di voci remote, quelle della storia antica, che ha plasmato la cultura occidentale, il logos occidentale; l'ascolto si risolve in visioni di scenari di quel tempo, in cui sono stati creati i simboli della Vita e della Morte, Eros e Thanatos, protagonisti dell'eterna vicenda dell'uomo nel suo complicarsi con il mistero dell'essere. Il poeta in questo approdo cammina nei Luoghi della sua mente, dei suoi pensieri, affonda i piedi nella cenere, nel passato della propria terra, dov'è sepolta la storia di generazioni e di civiltà a cui egli stesso appartiene; e la poesia di canti antichi lo richiama in questi luoghi della memoria (Cammino nei miei luoghi). Proseguendo nei luoghi della storia ricorda Babilonia, immagina di rivisitarla come uomo di quel tempo, ma il pensiero corre a Dio, che dà senso e pienezza all'esistenza. E' quando il poeta si immerge nel mare, "spugna della storia", allora è dolce naufragare facendo scorrere nell'anima l'Ambrosia, il fuoco dionisiaco, che schiude le porte del sogno (Scorre l'ambrosia). Mi sembra che il poeta senta la vita dei sentimenti come fonte di delusioni, di dolore; mentre il sogno, la meditazione, la preghiera sono la vita vera.
In questa silloge Stuppiello mi sembra anzitutto attento ad ascoltare le voci dell'anima, ma anche il suono della parola evocativa, e a contemplare i simboli della storia passata. Il verso breve è una scelta di linguaggio concluso in una sua interiore profondità. Il poeta è più attento alle visioni dell'anima che alle esperienze del mondo, della vita reale. Spesso è un messaggio d'amore che lo ispira, ma il sentimento terreno arde della sua stessa fiamma e si dissolve nella ricerca di Dio.
L'evocazione del mondo classico con i suoi miti serve a definire il cerchio dei suoi pensieri e a dare loro un supporto, una possibilità di approdo. Lo stesso avviene quando il poeta cammina nei suoi Luoghi tra le suggestioni di un ambiente agreste che è nel sostrato della sua cultura.
Spesso l'amore compare come protagonista di un momento della vita, ma dopo l'attimo il poeta sente il vuoto; cerca un senso alla vita e la sente consumarsi nel suo stesso fuoco. La stella eterna, che si consuma nella sua stessa luce, è metafora della sua visione della vita, del finire ineluttabile delle cose del nostro mondo sublunare (Impermanenza). Il Donjon, nella sua statuaria fissità, diventa un simbolo da opporre alla fuga delle cose, del tempo stesso.
Il poeta vuole vivere tra utopia e amore, così, in punta di piedi, può entrare nel sogno. Il silenzio diventa luogo e momento di comunione con l'universo. A volte è il mondo classico, una immagine, un simbolo di quel tempo ad esorcizzare lo sgomento della notte, oppure a risollevare il poeta dal pensiero del nulla, del non-senso della vita. E' certo che il vuoto, il tempo col suo incessante fluire, danno luogo all'inchiesta del poeta sul significato della vita, che sembra solo un apparire e scomparire di forme, di gesti, di presenze.

Domenico Guerra, dicembre 2009

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